A cura di Michele Sgarbossa

Il mondo della consulenza e il rapporto tra consulenti e PMI ha affrontato, nell’ultimo decennio in particolare, un cambio di passo molto importante, anche se molto lavoro vi è ancora da fare.

Il cambio di approccio ha visto le figure tradizionalmente più vicine all’imprenditore, affiancarlo sempre più spesso non solo nella somministrazione di prestazioni professionali ripetitive o frutto dell’esigenza contingente, ma diventare dei consulenti permanenti dell’imprenditore, seppure indipendenti, sempre più orientati ad un’attività di business advisor e non di meri interlocutori occasionali.
Si tratta di un passaggio culturale molto importante che coinvolge, non solo gli imprenditori, ma anche gli stessi professionisti, chiamati a svolgere una nuova funzione e ad assumere un nuovo ruolo.

Senza ombra di dubbio il cambio è avvenuto o ha trovato il suo motore di accelerazione, anche in conseguenza dei profondi mutamenti del mercato, conseguenti alle crisi che hanno colpito l’economia (da Lehman Brothers in poi) e più di recente anche per effetto degli interventi legislativi in materia di crisi di impresa, che hanno costretto a ripensare ad un modello imprenditoriale più moderno, più consapevole e decisamente più evoluto.
Il modello di riferimento è sicuramente quello delle grandi imprese, che da sempre possono contare su figure professionali preferibilmente interne, che garantiscono un affiancamento costante ed abitualmente preventivo nelle scelte imprenditoriali.

Ovviamente una struttura interna ha una rigidità, a causa della stabilità imposta dalla legge e un impatto economico in termini di costi, decisamente importante, che non tutti gli imprenditori piccoli e medi, sono disponibili ad affrontare o in grado di sostenere.Ecco quindi che la soluzione del consulente fractional o temporary può costituire una valida alternativa per far coincidere l’esigenza dell’imprenditore di poter contare su un’assistenza qualificata, a costi decisamente più contenuti e per il tempo di cui l’imprenditore abbia bisogno.

Nel corso del tempo si sono affermate quindi le figure dei fractional manager, del temporary CFO, che ci siamo abituati a sentir nominare, che dovranno necessariamente contemplare, per il futuro, anche l’inserimento, in funzione fractional, di professionisti del mondo legale, della qualità, delle risorse umane, dell’informatica.

Quali sono i vantaggi di tale soluzione?
In primo luogo, come ricordavamo, il professionista esterno garantisce all’imprenditore la possibilità di poter contare su delle prestazioni professionali nelle fasi in cui egli ne abbia necessità, senza dover sostenere dei costi nei momenti in cui non ve ne sia bisogno e senza rischiare di incappare in meccanismi di stabilità tipici dei contratti di lavoro subordinato.
Al riguardo potremmo aggiungere che i costi sono certi ed immutabili, non subordinati a variazioni o ad elementi nascosti, se non quando fossero richieste prestazioni aggiuntive, che andrebbero, in ogni caso, concertate.
Un altro ulteriore beneficio è senza ombra di dubbio rappresentato dal fatto di poter ricorrere alle prestazioni rese da professionisti in grado di portare soluzioni frutto dell’esperienza maturata in favore di più imprese che essi seguono e che possono quindi essere adattate ad altre imprese.

Come dicevamo, tuttavia, è necessario che non solo l’imprenditore muti il proprio atteggiamento rispetto alla possibilità di ricorrere a delle risorse esterne, ma che ciò vada di pari passo con un cambiamento della mentalità dei professionisti.
E’ importante, infatti, che si passi da una modalità di somministrazione delle prestazioni professionali dirette a risolvere le problematiche contingenti se non, potremmo dire, emergenziale, ad un ruolo consulenziale, in cui si comprenda davvero l’importanza di essere parte attiva nell’agevolare il business imprenditoriale ed in cui, finalmente si comprenda anche l’importanza del rispetto delle competenze verticali di altri professionisti, in un’ottica di collaborazione interdisciplinare su cui vi è ancora molto lavoro da fare.

Ed AICIM, sotto quest’aspetto, rappresenta sicuramente un modello a cui ispirarsi e un ambiente in cui acquisire questo nuovo modo di fare impresa e consulenza.

Le sinergie per la Consulenza
A cura di Guido Alberto Micci

La consulenza di management interviene su tutti gli ambiti e in ciascuna fase del ciclo di vita di un’impresa ed è in continua evoluzione per anticipare le necessità del mercato e reagire efficacemente ai cambiamenti del contesto.

Gli eventi esogeni di portata epocale che si sono verificati nel triennio 2020-2022 (pandemia, shock delle materie prime e conflitto russo-ucraino), oltre a mettere a dura prova il nostro sistema Paese, hanno ricordato quanto importanti e improcrastinabili siano le sfide che il mercato impone alle PMI italiane e ai consulenti che le affiancano: innovazione, competitività, passaggi generazionali, internazionalizzazione, digitalizzazione, privacy, sicurezza informatica, sostenibilità ambientale e sociale, ecc.

In tale contesto, per essere competitivi, i consulenti devono saper prevedere i bisogni dei loro clienti, parlare la loro stessa lingua e investire tempo e risorse nella formazione e nell’aggiornamento, anche su materie trasversali a quelle di storica competenza.
Altrettanto fondamentali risultano le sinergie tra imprese e consulenti: entrambi devono mettersi in discussione e cogliere i vantaggi derivanti da ciascuna rete di appartenenza. Gli imprenditori e i consulenti devono crescere e imparare insieme, affrontare di pari passo i cambiamenti e cogliere contemporaneamente le nuove opportunità; appartengono a due categorie sociali differenti, hanno una mentalità, una formazione e un’esperienza tra loro diverse, ma possono apprendere gli uni dagli altri.

Ancor prima che su obiettivi e soluzioni, il confronto e la condivisione tra imprenditore e consulente deve focalizzarsi sulla scelta del progetto di consulenza stesso. Molto spesso, infatti, uno dei problemi è che l’imprenditore stesso ha difficoltà a sapere di che cosa ha bisogno.
E su questo la consulenza deve riflettere, facendosene carico, lavorando ad un nuovo approccio: non si può limitare al “problem solving” ma, in primis, deve sapere fare “problem setting”.
Il mercato infatti necessita di contributi meno di tipo metodologico e chiede di contare su consulenti capaci di accoppiare all’expertise anche l’experience specifica.

Occorre offrire servizi tagliati sulle esigenze dell’industry di riferimento del cliente e fare crescere le risorse con focalizzazione sulle loro specificità, abbandonando gli approcci e il posizionamento da “tuttologi”.

Un altro aspetto di grande rilevanza è l’esigenza mostrata dal mercato di contare su partner capaci di realizzare i cambiamenti proposti e accompagnare il processo attuativo e non solo di progettarne la concezione; la conseguenza è lo sviluppo di un’offerta meno focalizzata sul “cosa fare” e più focalizzata sul valore aggiunto del “come farlo”.
Il risultato finale è la realizzazione di un rapporto consulente-impresa che consente di trasferire non solo la cultura necessaria per garantire il mantenimento dei risultati acquisiti, ma anche la capacità di produrre autonomamente ulteriori sviluppi.

È chiaro quindi che un sistema collaborativo, fondato sul network di relazioni non solo tra consulenti e imprese, ma anche tra università, associazioni, istituzioni ed ogni genere di attore economico non può che rappresentare una potente strategia affinché il tessuto economico e produttivo italiano possa competere sui mercati internazionali.

Ma che cosa si intende per “networking”? E quali sono i fattori che lo rendono vincente?

Ciò che comunemente definiamo “networking” è il nostro capitale sociale, un prezioso e intangibile asset rappresentato dal nostro sistema di relazioni e cioè da tutte le persone che si conoscono, sia a livello di relazioni consolidate (legami forti) che a livello di relazioni frequentate occasionalmente (legami deboli) o che si sono perse nel tempo, che poi sono la prevalenza.

In un mercato in rapida evoluzione e sempre più interconnesso, il networking è ormai una metacompetenza imprescindibile per ogni consulente e impresa e sarà sempre più la chiave per leggere e interpretare le organizzazioni del futuro.
Prima ancora di un insieme di tecniche, occorre cogliere lo spirito del networking in cui tali tecniche vanno inserite per potersi esprimere nella loro potenzialità. Pensare e progettare instancabilmente valore per l’altro (e poi per sé) dovrebbe far parte del DNA di chi vive e sente il networking come filosofia di vita, spirito di servizio per gli altri, amore delle connessioni e dello scambio genuino, creazione di ponti e opportunità con tutto il proprio ecosistema relazionale.
L’aspetto etico profondo che costituisce il segreto del networking è il ribaltamento della logica “utilitaristica” nell’approccio agli altri: va cambiato il registro e il diffuso atteggiamento “push” (che allontana l’interlocutore) va sostituito con la creazione di vero valore, unico abilitatore per consolidare i legami nel tempo.

Ma anche nella definizione di partnership “formali” ciò che spesso manca è il riferimento e l’attenzione alle capacità e ai comportamenti che servono per costruire una vera partnership.
Tra questi:

  1. l’obiettivo di valore o lo scopo condiviso che motiva la creazione della partnership;
  2. la capacità di ascolto, di attenzione, di concentrarsi sui bisogni dell’altro, necessari per capire davvero cosa crea valore per il partner; il tutto per non fermarsi alla propria percezione di valore e a un criterio unilaterale di valutazione del risultato da raggiungere, modalità che spesso nel business invece prende il sopravvento, trasformando il processo di partnership in una negoziazione continua, senza nessun criterio “win-win” a supporto
  3. l’iniziativa e, contemporaneamente, il rispetto di regole definite e condivise. Nel business parlare di partnership significa saper individuare per l’altro partner soluzioni nuove o diverse e investire per contribuire nel creare un valore maggiore; quindi progettualità, problem solving, nuove idee e generosità nello sviluppo di soluzioni di intervento sono dei requisiti importanti. Per lavorare in un modo proficuo, in una logica di reciprocità e scambio, però, le regole del gioco tra le parti devono essere esplicitate e chiare, e devono essere rispettate.

Forse è quest’ultimo punto il motivo per cui la partnership nel business è così difficile da attivare e mantenere.
Nel mondo degli affari è davvero difficile mettere insieme regole, confini, diritti e doveri con aspetti di iniziativa e generosità; il timore che azioni di apertura vengano scambiate per ingenuità e malamente utilizzate, sposta l’attenzione degli attori sulle regole, sui diritti e sui doveri e sugli aspetti “contrattualistici” della partnership.

Una parte di libera iniziativa, di apertura e credito all’altro, fuori dalle regole, deve invece essere sempre presente; perché diversamente, se tutto è regolato solo sulla base dello scambio, si rischia di passare il tempo a fare il “computo della reciprocità” in dettaglio: ogni azione che faccio con te deve corrispondere a un ritorno per me e viceversa. Dimenticando lo scopo inziale della partnership creata.
Così la partnership, sia nella vita sia nel business, non regge molto a lungo.
Bisogna essere capaci di osare e di essere coraggiosi e fiduciosi nella capacità dell’altro di restituire valore al valore ricevuto.
Non è facile ma si può fare!

Conclusioni

In questo articolo abbiamo approfondito, grazie al contributo di professionisti e manager impegnati ogni giorno nelle Imprese (di tutte le dimensioni), un tema delicato come il rapporto tra Consulenza e Impresa.
Le Grandi Imprese sono più avvezze a gestire rapporti di consulenza in quanto dimensioni e struttura lo impongono, insieme alla necessità di specializzazione verticale.

Tanto è vero che assistiamo oggi alla crisi dei giganti del Web data dai minori investimenti in innovazione.
Come ampiamente illustrato il rapporto tra PMI e consulenza è necessario alla crescita e porta sempre allo svolgimento di progetti di massimo interesse per lo sviluppo delle PMI talvolta con risultati scientificamente eclatanti in termini di maggiore marginalità, quindi liquidità e aumento patrimoniale.
AICIM ed AISOM si impegnano da sempre per favorire lo sviluppo delle PMI, senza mai dimenticare che la strada verso lo sviluppo, la creazione di posti di lavoro e ricchezza è lastricata di competenze, metodologie, processi e dati, innovazione tecnologica, e non solo, al servizio della gestione di Impresa.

A cura del Team Finanza e Controllo

Coordinatore del Team: Andrea Spensieri

Vice-Coordinatori: Alessandro Pistagnesi, Stefano Casoni

Contributi tecnici: Marco Curti, Domenico Tolomeo, Stefano Casoni, Michele Sgarbossa, Guido Alberto Micci.