Quale responsabilità degli amministratori senza “adeguati assetti organizzativi”
A cura di Michele Sgarbossa
La responsabilità degli amministratori per la mancanza degli adeguati assetti organizzativi è una certezza.
Ma il Codice della Crisi, che d’ora in poi indicheremo con l’acronimo di CCII, l’ha estesa, riprendendo in realtà una responsabilità che era già conosciuta dal nostro Codice Civile, anche ai direttori generali delle società per azioni.
Iniziamo col dire che la responsabilità non attiene solo alla mancanza degli adeguati assetti organizzativi, ma anche alla loro adeguatezza, dove il confine tra le due ipotesi è spesso molto sottile e non sempre facile da riempire di contenuti oggettivi e indiscutibili.
La responsabilità trova origine ovviamente, nella norma generale dell’art. 2086 del Codice Civile, che consente di rinviare alle previsioni di cui agli artt. 2380 bis, quanto alle società per azioni e 2475, sempre del Codice Civile, in relazione all’amministrazione delle società a responsabilità limitata.
Come già anticipato, l’art. 2476 del Codice Civile, come novellato dall’art. 378 del CCII, ha modificato, equiparandola, la disciplina della responsabilità verso i creditori sociali delle S.r.l. a quella già prevista per le S.p.A..
Così è ora previsto che gli amministratori di S.r.l. rispondano verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti ed è esperibile anche quando vi sia la rinunzia all’azione da parte della società.
Occorre considerare che la responsabilità degli amministratori trova il proprio fondamento anche dall’art. 2476 del Codice Civile, che prevede che gli amministratori siano solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri a essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo.
Si consideri inoltre che il CCII, con la modifica dell’art. 2477 del Codice Civile, che incluso anche le società prive di organo di controllo nell’applicazione dell’art. 2409 c.c., estendendo il potere di controllo della governance da parte dei soci di minoranza, che sono ora in grado di chiedere, al socio di maggioranza e amministratore, indicazioni precise in ordine all’implementazione degli adeguati assetti, finanche alla possibilità di richiedere al Tribunale l’intervento di un amministratore giudiziario.
In estrema sintesi, la mancanza di adeguati assetti organizzativi o la loro non corretta attivazione, può determinare il sorgere di responsabilità in capo agli amministratori, i quali potrebbero essere chiamati a rispondere con il loro proprio patrimonio personale, per non aver dotato l’impresa di risorse umane e strumenti atti al monitoraggio e alla rilevazione della crisi.
Le previsioni riferite agli amministratori sono state estese, dall’art. 2396 del Codice Civile anche ai direttori generali delle S.p.A. che siano stati nominati dall’assemblea, o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati, salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società.
Una volta individuati i soggetti che possono essere chiamati a rispondere del loro operato, possiamo concentrare ora l’attenzione sul come debba essere valutata l’adeguatezza degli assetti.
È indispensabile rammentare che gli assetti e le misure possono risultare adeguati se permettono la tempestiva rilevazione dell’eventuale stato di crisi, nonché l’adozione e l’attuazione delle azioni volte al suo superamento.
Ovviamente il punto nodale resta sempre quello interpretativo, sul significato oggettivo da attribuire all’adeguatezza, per la quale potrà essere utile fare riferimento anche alle pronunce giurisprudenziali che si stanno susseguendo e che consentiranno ad amministratori e dirigenti di muoversi in questo delicato campo.
Sul punto si desidera evidenziare che in giurisprudenza e dottrina si è soliti distinguere tra gli obblighi degli amministratori aventi un contenuto specifico e determinato dalla legge o dall’atto costitutivo e quegli obblighi generali di amministrare con diligenza e senza conflitti di interesse, che trovano la loro fonte nel Codice Civile.
Dal canto proprio la giurisprudenza sembra aver ormai scelto un orientamento che, nel riconoscere una responsabilità dell’organo gestorio che non abbia adottato alcuna adeguata misura organizzativa, pone l’adeguatezza tra i doveri specifici o, addirittura, secondo alcuni commentatori, tra il dovere specifico a contenuto aperto.
Tutto ciò ha degli inevitabili riflessi anche in relazione all’oggetto della prova circa il nesso causale tra negligenza ed evento di danno al patrimonio sociale, che nel CCII e, di conseguenza nel Codice Civile è stato individuato nella differenza tra patrimoni netti.
Non meno importante è la valutazione delle conseguenze della adeguatezza degli assetti, rispetto alla loro mancanza, ovvero la mancata attivazione delle procedure, in particolare nell’ipotesi in cui si verifichi la conseguenza più grave per la società, ovvero la verifica dell’adozione, da parte dell’amministratore, di strumenti che possano far scattare i cosiddetti meccanismi premiali previsti dall’art. 24 CCII.
Siamo parlando del contenimento degli interessi su debiti e sanzioni tributarie, ovvero la riduzione di quest’ultime, della proroga del termine per il deposito della proposta di concordato, la non punibilità penale per coloro che abbiano tempestivamente presentato l’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa ovvero la domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui al CCIAA, quando il danno sia di particolare tenuità
In conclusione, l’amministratore è tenuto ad osservare una serie di doveri e qualora li violi, risponde nei confronti della società e dei creditori sociali qualora il loro comportamento si ripercuota negativamente sulla conservazione del patrimonio sociale ed esso sia divenuto insufficiente al soddisfacimento di questi ultimi, creando un danno.
Ciò sta a significare che i comportamenti degli amministratori non possano essere sindacati, anche se contrari ai loro doveri, se non hanno determinato alcun danno. A ciò si aggiunga che deve esistere anche un nesso di causalità fra la violazione del dovere dell’amministratore e il danno, accertando che il danno non si sarebbe verificato se il comportamento dell’amministratore fosse stato conforme ai suoi obblighi.