Prefazione
A cura di Michele Sgarbossa
Ogni giorno siamo circondati da messaggi che richiamano il tema della sostenibilità, che è divenuto un obiettivo di molte imprese che ne hanno compreso il valore.
Molto spesso, tuttavia, quando ci mettiamo a riflettere quali possano essere le applicazioni pratiche, spesso non riusciamo ad andare oltre alla questione ambientale, che è, di sicuro, quella più comprensibile e, aggiungerei, misurabile.
Tuttavia il tema della sostenibilità, racchiuso nell’acronimo di ESG, tocca anche le tematiche del Social e della Governance, che sono le due cenerentole che guardano alle persone, principalmente per la loro difficoltà ad essere percepite dal pubblico e dagli imprenditori e a darne risalto all’esterno.
Il Social fa riferimento alle decisioni e alle attività aziendali e organizzative che hanno un impatto sociale, come il rispetto dei diritti dei lavoratori, l’attenzione alle condizioni di lavoro, la parità di genere e il contrasto alla discriminazione, la capacità di contribuire allo sviluppo del tessuto sociale e del territorio all’interno del quale l’imprenditore opera, lo sviluppo di iniziative che aumentino il benessere della collettività migliorando la qualità della vita della popolazione locale.
La Governace afferisce alle strategie e alle scelte decisionali in ordine all’etica retributiva, alla valorizzazione della meritocrazia, al rispetto dei diritti degli azionisti, al contrasto della corruzione in tutte le sue declinazioni ed al rispetto dlla composizione dei CdA.
Essa rimanda all’identità dell’azienda, all’organizzazione, alla strategia, all’atteggiamento e alla capacità di definire forme organizzative e azioni concrete che consentano un’attuazione pratica e potremmo dire quotidiana di questi principi.
Di sicuro oggi possiamo contare su una maggiore consapevolezza del tema ESG, grazie anche all’esperienza concreta sviluppata da molte grandi imprese e sulla pubblicità di cui essa gode a vari livelli.
Di sicuro ciò che potrà contribuire allo sviluppo di tali temi nelle PMI sarà non tanto l’abituale previsione di conseguenze negative, ma l’abbassamento della soglia di ingresso, anche sul piano economico, cosicchè essi non vengano percepiti come l’ennesimo balzello da pagare senza alcun vantaggio concreto.
Dalle origini ai giorni nostri
A cura di Roberto Veronese
Sto percorrendo l’A4 per far visita ad un cliente di Biella ed alla radio noto che su dieci passaggi pubblicitari appena trasmessi almeno sette contengono la parola sostenibile, consapevole, green, ecologico, natura, ambiente: “scenari e riferimenti naturali fanno da sfondo anche alla prima “Sustainable Collection” di Emporio Armani dedicata a uomo, donna e bambino per la stagione autunno/inverno 2023/2024!!” (SIC!)
È evidente che il tema sostenibilità è oggi super gettonato e che gli strateghi del marketing si sono buttati a capofitto su messaggi pubblicitari rivolti a consumatori finali più o meno consapevoli di ciò che significhi sostenibilità ma sempre più attenti quantomeno all’ambiente, a prescinderedall’esatta conoscenza del termine più generale di sostenibilità, usato e abusato. Mentre il mondo delle imprese e degli imprenditori, che ogni giorno ha a che fare con mille problemi e con mille e più balzelli, la sostenibilità la percepisce spesso come un costo aggiuntivo, un ulteriore onere da sopportare e che sembra fatto apposta per ostacolare più che per aiutare chi produce.
“Ci mancava l’ambiente e Greta Thunberg!!”, il cliente che mi stava aspettando così mi allunga sconsolato la mano accogliendomi nel suo ufficio.
Ma è veramente così?
Direi proprio di no, e per capirlo dobbiamo riavvolgere il nastro normativo di qualche anno.
Tutto ha inizio nell’East River di Manhattan il 25 settembre del 2015 quando 193 Paesi membri delle Nazioni Unite approva la cosiddetta “Agenda 2030” costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto costituito da 169 target ad essi associati da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.
La UE recepisce subito le indicazioni dell’Agenda 2030 dell’ONU e ci guida ad una maggiore uniformità e comparabilità delle informazioni di carattere non finanziario, prevedendo per taluni Enti l’obbligo di predisporre un bilancio di sostenibilità (DNF o dichiarazione di carattere non finanziario) “contenente le informazioni sociali e ambientali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva”.
In Italia tutto ciò si concretizza nel DLGS 254/2016 che prevede l’obbligo della DNF per le imprese quotate e le grandi imprese definite con:
Il primo parametro di fatto rende l’obbligo normativo riservato ad una nicchia di ristretta di Medio Grandi aziende mentre i soggetti giuridici diversi da quelli tenuti obbligatoriamente a redigere la DNF (PMI) possono decidere di stilarla su base volontaria: in tal caso non cambia il contenuto delle informazioni e la modalità di rappresentazione, che dovrà comunque seguire i principali standard di rendicontazione (o una metodologia di rendicontazione autonoma).
Nel formulare le informazioni richieste dalla DNF, le imprese possono basarsi su standard nazionali, unionali o internazionali (cfr. Considerando 9, Direttiva 2014/95/UE), anche se il 93% delle DNF in Italia utilizza gli standard formulati dalla Global Reporting Initiative (GRI).
L’evoluzione della comunicazione finanziaria diventa un tema di ampio dibattito nazionale a prescindere dalle dimensioni, cosicché nel giugno del 2018 Confindustria ed il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili decidono di riesaminare la normativa esistente in materia di Relazione sulla Gestione ex art. 2428 c.c. suggerendone alcune integrazioni al fine di informare gli stakeholder su temi non-finanziari come l’utilizzo delle risorse, l’attenzione all’ambiente e al personale, il comportamento deontologico, il modello di business e gli orientamenti strategici, insomma un concentrato dei tre pilastri fondamentali della sostenibilità: Enviroment, Social, Goverance.
Nel 2019 la Commissione Europea delinea un chiaro programma (Green Deal) per conseguire la neutralità climatica entro il 2050 rendendo più ambiziosi gli obiettivi dell’UE in materia di clima per il 2030 e il 2050. “Le ambizioni del Green Deal europeo comportano un ingente fabbisogno di investimenti. Secondo le stime della Commissione per conseguire gli obiettivi 2030 in materia di clima ed energia serviranno investimenti supplementari dell’ordine di 260 miliardi di euro l’anno.” Si delineano così le basi dei PNRR nazionali. “I bilanci nazionali svolgono un ruolo chiave nella transizione. Un maggior ricorso a strumenti di bilancio verdi aiuterà a riorientare gli investimenti pubblici, i consumi e la tassazione verso le priorità verdi, abbandonando le sovvenzioni dannose. La Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, individuerà ed effettuerà un’analisi comparativa delle pratiche di bilancio che vanno in questa direzione: sarà quindi più facile valutare in che misura i bilanci annuali e i piani di bilancio a medio termine tengano conto delle considerazioni e dei rischi ambientali, come pure imparare dalle migliori pratiche.”
Ma ci si accorge anche che qualcosa non funziona: la Commissione europea si impegna a rivedere la normativa comunitaria (2014/95/UE) perché “il quadro normativo vigente non garantisce il soddisfacimento delle esigenze di informazione”. Nella creazione dei DNF (o bilanci di sostenibilità) ognuno è libero di inserire ciò che vuole (nel rispetto, comunque, di parametri ben definiti dai GRI) ma la mole di informazioni in esse contenute diventa un’arma a doppio taglio.
È l’11.12.2019, siamo a pochi giorni dai festeggiamenti per il nuovo anno, l’anno che ha cambiato il mondo: il 2020.
In piena pandemia Mr. Larry Fink, cofondatore e A.D. di BlackRock (un fondo che manovra nove trilioni di dollari, tre volte il PIL del Giappone) se ne esce con un comunicato in cui annuncia che il colosso finanziario statunitense non investirà più un dollaro in aziende che non abbiano un piano di sviluppo ecosostenibile.
Un nuovo attivista folgorato sulla via di Damasco?
Non direi, già da tempo il mondo dell’Alta Finanza sentiva l’esigenza di integrare i temi ESG per la gestione dei rischi legati ad investimenti in aziende/settori esposti maggiormente al cambiamento climatico, al consumo di risorse, al degrado ambientale ed alle diseguaglianze sociali, migliorando la trasparenza delle informazioni aziendali ed orientando i flussi finanziari verso investimenti sostenibili.
Il Covid 19 ha messo in evidenza quanto la collettività si sia trovata impreparata a gestire la pandemia provocando una crisi mondiale a livello sanitario, sociale e finanziario.
Ecco, all’Alta Finanza e a chi muove i flussi di denaro nel mondo interessa evitare una crisi finanziaria per cui la valutazione del rischio di credito trova ora i suoi riferimenti in parametri (ambientali, sociali e di governance) che fino a poco tempo prima erano del tutto secondari.
Un bel punto per chi crede nella sostenibilità e che porta l’Europa ad intervenire immediatamente con il Regolamento Tassonomia (UE:2020/852).
In pratica è un sistema di classificazione comune coniato dall’UE che fornisce al mondo della finanza (che deve indicare quanto sostenibile sia effettivamente un investimento), ai governi (che devono stabilire gli incentivi ad aziende green) e alle aziende (che devono rendicontare il proprio impatto sull’ambiente) definizioni appropriate per le quali le attività economiche possono essere considerate (e definirsi) sostenibili dal punto di vista ambientale.
Obiettivi primari che l’UE spinge, attraverso questo strumento, sono quelli di creare sicurezza per gli investitori, eliminare il greenwashing e mitigare la frammentazione del mercato. Altra finalità non meno importante è quella di aiutare le aziende a diventare più rispettose del clima e indirizzare gli investimenti verso progetti e attività sostenibili, raggiungendo così più probabilmente gli obiettivi climatici ed energetici globali.
I temi ESG diventano determinanti quindi in ambito finanziario. L’EBA (European Banking Authority) stabilisce che nella valutazione del rating si debba considerare l’esposizione dei clienti ai fattori ESG, in particolare “ai fattori ambientali e all’impatto sul cambiamento climatico e all’adeguatezza delle strategie di mitigazione, come specificate dal cliente”.
Con questa norma viene quindi stabilita la cosiddetta GREEN TAXONOMY per comprendere quando un’attività è considerata ecosostenibile, e cioè quando:
1.Contribuisce al raggiungimento di uno o più obiettivi ambientali, (art.9) ossia:
i)Mitigazione dei cambiamenti climatici
ii)Adattamento al cambiamento climatico
iii)Uso sostenibile e protezione delle acque
iv)Transizione verso l’economia circolare
v)Prevenzione e riduzione dell’inquinamento
vi)Protezione e ripristino biodiversità ed ecosistemi
2.Non arreca danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali (DNSH)
3.È svolta nel rispetto delle garanzie minime previste dal regolamento (art.18)
4.È conforme ai criteri che verranno fissati dalla Commissione Europea
Alla GREEN TAXONOMY si affianca poi la SOCIAL TAXONOMY i cui tre obiettivi principali sono:
– la garanzia di un lavoro dignitoso per tutti, compresi i lavoratori operanti lungo tutta la catena del valore,
– la garanzia di standard di vita e benessere adeguati per i consumatori finali di prodotti e servizi e
– la promozione di comunità e società inclusive.
Successivamente, l’art. 8 del Regolamento 2020/852 stabilisce ulteriori obblighi di trasparenza a carico delle società non finanziarie. Qualsiasi impresa soggetta all’obbligo di pubblicare informazioni di carattere non finanziario ai sensi dell’articolo 19-bis (o dell’articolo 29-bis della direttiva 2013/34/UE), infatti, è tenuta a fornire informazioni su come e in che misura le attività operative sono associate ad attività economiche considerate ecosostenibili.
In particolare, le imprese non finanziarie hanno l’obbligo di comunicare:
a) la quota del loro fatturato proveniente da prodotti o servizi associati ad attività economiche considerate ecosostenibili;
b) la quota delle loro uscite finanziarie e la quota delle spese operative relativa ad attività o processi associati ad attività economiche considerate ecosostenibili.
Dal lato del mondo finanziario invece, le banche e altre società finanziarie (gestori di attivi, imprese di investimento, società di assicurazione/riassicurazione, ecc.) dovranno indicare lla quota delle attività economiche ecosostenibili nel totale delle attività che finanziano o in cui investono.
I temi contenuti nel Green Deal del 2019 trovano allocazione il 16.12.2022 in Gazzetta Ufficiale UE (UE:2022/2464 (CSRD) dove viene riscritta la norma iniziale 2014/95/UE prevedendo di fatto un ampliamento considerevole della platea di soggetti che saranno coinvolti alla redazione del “Bilancio di sostenibilità” e modificando le regole del gioco finora utilizzate. Infatti, si stabilisce:
1)l’ampliamento della platea coinvolta all’obbligo della DNF per cui i soggetti obbligati sono coloro che superano due dei tre limiti di cui sopra, ossia:
a)250 dipendenti medi
b)> 20M attivo
c)> 40M fatturato
2)la previsione di uno standard europeo per la rendicontazione: verrà istituita la Rendicontazione Reporting/ di Sostenibilità che andrà a sostituire la Dichiarazione Non Finanziaria. Art.29 ter e quater
3)l’uso obbligatorio di un unico formato digitale, sul tipo XBRL, chiamato ESEF (EuropeanSingle Electronic Format). Art.29 quinquies
4)la collocazione dell’informativa in una sezione ad hoc della RsG (Art.19 bis). L’informativa dovrà contenere obbligatoriamente:
a)L’impatto dell’impresa sulle questioni relative alla sostenibilità (impact materiality)
b)Gli effetti dei fattori ESG sulla situazione economico-finanziaria (financial materiality)
5)l’istituzione di un’attestazione sulla conformità di sostenibilità (audit). In tale contesto il Revisore Legale esprimerà il suo giudizio e rilascerà la dichiarazione in merito alla RsG che è comunicata integralmente assieme alla Relazione finanziaria annuale.
Lo sviluppo degli standard è curato dall’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) ed ha elaborato 12 documenti standard ESRS (European Sustainability Reporting Standard):
1.Cross Cutting – requisiti generali
2.Cross Cutting – informativa generale
3.ENVIROMENTAL:
I.ESRS E1 Cambiamento climatico (46 KPIs)
II.ESRS E2 Inquinamento (29 KPIs)
III.ESRS E3 Risorse idriche e marine (32 KPIs)
IV.ESRS E4 Biodiversità ed ecosistemi (20 KPIs)
V.ESRS E5 Risorse ed economia circolare (23 KPIs)
4.SOCIAL:
VI.ESRS S1 Forza lavoro propria (49 KPIs)
VII.ESRS S2 Lavoratori della catena del valore (0 KPIs)
VIII.ESRS S3 Comunità interessate (0 KPIs)
IX.ESRS S4 Clienti e utenti finali (0 KPIs)
5.GOVERNANCE:
X.ESRG G1 Condotta aziendale (11 KPIs)
Il CSRD, Corporate Sustainability Reporting Directive, ovvero la legge UE2022/2464 entra in vigore in Italia dal 5/1/2023 e si prevede, come sopra accennato, una revisione globale del tema sostenibilità i cui elaborati e le cui direttive troveranno la luce nei prossimi due/tre anni.
L’informazione di sostenibilità avrà natura quantitativa e qualitativa (narrativa), e dovrà essere di carattere retrospettivo ma anche prospettico (forward-looking). In particolare, i target ambientali dichiarati dalle imprese dovranno collocarsi in una prospettiva temporale anche di medio-lungo termine, risultare coerente con gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi (contenimento a 1,5 gradi dell’innalzamento della temperatura media globale entro il 2050) e dallo European Green Deal (eliminazione del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030 e loro annullamento entro il 2050) e dovrà esserci un’indicazione di quali target sono “science-based”.
Saranno infine elaborati a livello europeo standard di carattere volontario per il reporting di sostenibilità delle PMI della UE non quotate. I Governi degli Stati membri sono invitati a studiare l’impatto dell’applicazione dei nuovi standard sulle PMI nazionali e a predisporre incentivi e aiuti per favorire questo passaggio.
Sorge spontanea una domanda: COSA POSSIAMO FARE ORA?
1.Valutazione.
È opportuno prevedere un’attività preliminare di valutazione degli impatti generati dalla normativa in termini organizzativi perché la sostenibilità è un progetto che deve essere condiviso trasversalmente da tutti i reparti aziendali e coordinati da una squadra presieduta da chi ha una visione completa ed una conoscenza capillare dell’azienda e dei processi produttivi e informativi interni. La sostenibilità deve essere svolta internamente da persone ben individuate con il supporto esterno di professionisti/strutture/ organizzazioni per l’adeguamento organizzativo aziendale in chiave ESG e, non da ultimo, il suo controllo.
È poi necessario individuare le tematiche rilevanti per il business (vedi matrice della doppia materialità) e le azioni necessarie per colmare gli eventuali divari rispetto ai requisiti della normativa partendo dall’identificazione delle azioni di sostenibilità già presenti. Le nostre aziendenon parte assolutamente da zero e molti dei KPI richiesti dalla normativa sono già presenti per cui l’approccio iniziale è individuare, valorizzare e comunicare ciò che già si sta facendo.
2.Misurazione delle performance e reporting.
Definire modelli di reporting e cruscotti di KPI che consentano di misurare le performance e il livello di raggiungimento degli obiettivi strategici. Quindi predisporre strumenti di reporting, interni e/o esterni, in linea con i riferimenti internazionali e che ci aiutino a migliorare la relazione con gli stakeholder (banche in primis) grazie ad una comunicazione trasparente.
3.Transizione verso un nuovo modello di reporting
La strada ormai è segnata e procede nel suo percorso di transizione verso nuovi modelli di reporting capaci di dare una rappresentazione chiara e sintetica di come l’azienda crei valore nelle sue diverse dimensioni, finanziarie e non finanziarie. Molto probabilmente ci vorrà qualche anno perché il Report di Sostenibilità diventi obbligatorio per tutti ma ciò che possiamo fare ora è predisporre un modello di business che tenga conto delle nuove esigenze sia perché possiamo essere chiamati in causa come appartenenti alla catena del valore dai nostri stakeholder (con riflessi importanti in termini di rating) sia perché l’adeguamento organizzativo ed il relativo modello non possono essere improvvisati (e mal gestiti) rappresentando essi stessi una fondamentale scelta di strategia aziendale con impatto nel medio lungo termine.
Innovazione e Sostenibilità nelle imprese manifatturiere
Costruire un futuro duraturo fondato sul valore sociale
A cura di Gianluca Ivan Bonvini
Sono felice di poter dare un contributo al tema, che ritengo fondamentale, nel dibattito sulla transizione green: l’innovazione.
Sono profondamente convinto, la mia esperienza ed il mio agire ne sono testimonianza, che il senso di scopo di un’impresa sia il driver per approcciare all’innovazione in modo funzionale alla realizzazione dello stesso.
Con questa premessa definiremo il processo innovativo in modo diverso rispetto a come lo si è inteso sino ad oggi: non più mossi da obiettivi interni ma da obiettivi sistemici con la ferma convinzione che i risultati raggiunti saranno a beneficio di tutti e, ancor prima, a vantaggio della durabilità del business.
Ridefinire obiettivi e strumenti.
Nel contesto in costante evoluzione delle imprese manifatturiere, l’innovazione e la sostenibilità emergono come cardini essenziali per garantire uno sviluppo duraturo nel tempo.
Tuttavia, la vera sfida sta nel collocare queste leve di cambiamento all’interno di un quadro più ampio, quello del senso di scopo di un’iniziativa d’impresa, un purpose rivolto al valore sociale.
E’ necessario un cambio di prospettiva che spinga l’innovazione da semplice strumento per l’ottimizzazione dei processi e la creazione di nuovi prodotti per mercati più floridi, a strumento abilitante per compiere un percorso di profondo cambiamento nella modellazione del nostro futuro.
L’innovazione è alleata cruciale per affrontare le sfide ambientali, consente di sviluppare soluzioni rivoluzionarie per questioni complesse come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e la scarsità di risorse, consentendoci di affrontare tali sfide con creatività e ingegno.
Grazie ad un approccio sistemico, innovando i sistemi industriali ed economici ed impattando sull’intera catena del valore, dalla progettazione dei prodotti alla gestione dei rifiuti, potremo trarre benefici da una serie di soluzioni che sino ad oggi non avevamo pensato oppure non avevamo collocato nelle giuste modalità all’interno dei processi progettuali e produttivi.
Fondamentale è l’adozione di un modello che mira a ridurre al minimo il rifiuto e massimizza il riutilizzo dei materiali. Ma va oltre, promuove una mentalità di responsabilità del produttore, in cui la responsabilità di un prodotto non termina con la vendita, ma persiste per tutto il suo ciclo di vita, con una gestione più efficiente delle risorse (a tal proposito si veda la Normativa EPR).
Il vero successo è un futuro duraturo
Questo modello non riguarda solo i profitti finanziari, ma anche il contributo positivo alle persone e al pianeta.
Le imprese manifatturiere hanno l’opportunità di essere leader in questo cambiamento, possono essere i catalizzatori dell’innovazione e della sostenibilità, creando un vero risultato che non passa solo dalla misurazione dei termini economici ma anche dalla misurazione dell’impatto positivo sulla società e sull’ambiente.
Sostenibilità ed innovazione: un connubio cruciale per un futuro che non solo ci serve, ma che merita di essere ereditato da chi verrà dopo di noi.