Premessa
a cura dell’Avv. Michele Sgarbossa
Nelle varie occasioni di confronto con gli imprenditori, titolari di PMI, emerge sempre il tema del rapporto che gli stessi hanno rispetto alla sostenibilità.
Senza ombra di dubbio il legislatore non agevola, con il suo classico atteggiamento diretto alla punizione rispetto al mancato adeguamento alle prescrizioni normative, l’accettazione di una normale evoluzione delle imprese verso il rispetto dell’ambiente, ma anche dell’organizzazione aziendale rispetto alla forza lavoro.
Perché non possono essere sufficienti solo gli incentivi in termini di maturazione di crediti fiscali (tra l’altro recentemente bistrattati), per cambiare l’ovvia e necessaria attenzione, ai risultati economici aziendali e ampliare l’orizzonte.
Nell’articolo del Dr. Roberto Veronese, revisore dei conti, ma anche esperto dei temi della sostenibilità, viene affrontata proprio la dualità dell’approccio degli imprenditori rispetto alla sostenibilità.
Ovviamente le grandi imprese, sia per obbligo normativo, ma anche per disponibilità di risorse finanziarie, si sono già adeguate e, come andiamo ripetendo, stanno ovviamente imponendo alle PMI che entrano nella loro filiera, un’accelerazione all’adeguamento di quelli che potremmo chiamare “gli adeguati assetti della sostenibilità”.
“Chi ha tempo non aspetti tempo”.
Me lo diceva sempre il nonno Piero, filosofo per passione e contadino di professione, me lo ripeteva quando gli chiedevo perché lavorasse la terra anche in inverno quando era più dura e la natura sembrava non rispondere alla sua vangata vigorosa. Probabilmente se oggi gli chiedessi qualcosa sulla sostenibilità mi darebbe qualche dritta interessante, data la sua manualità naturalista, ma sono sicuro, invece, che mi ripeterebbe questo vecchio e attuale adagio.
Perché, se anche la normativa sui temi ESG è in continua evoluzione, è di fondamentale importanza capire oggi, in questo preciso momento, come vogliamo affrontare un tema che coinvolgerà l’intero mondo produttivo nei prossimi anni.
O meglio, è importante iniziare già oggi a porsi certe domande se si vuole abbracciare il concetto di sostenibilità come elemento fondante del tessuto produttivo/commerciale del prossimo decennio. Anche se per molte PMI la sostenibilità sarà solo un approccio volontario e non obbligatorio.
La sostenibilità la si può intendere, e conseguentemente approcciarsi ad essa, in due modi distinti perché oggi le aziende si trovano di fronte ad un bivio:
negarsi al cambiamento oppure accettare il cambiamento
che ricorda molto l’iconica scena del film “Matrix” sulla decisione di prendere la pillola rossa del cambiamento oppure la blu dello status quo: “Pillola blu, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai” (cit. Morpheus).
1. Prima ipotesi.
Se ci si nega al cambiamento, se decidiamo di prendere la pillola blu e credere a ciò che vogliamo, se la sostenibilità, fuori metafora, la si intende esclusivamente come un onere amministrativo che si aggiunge al già pesante fardello burocratico che regola, e spesso ostacola, l’agire imprenditoriale allora i giochi sono già ben delineati.
Lasciamo stare!
Un tale atteggiamento imprenditoriale genererà solo inutili costi ed incomprensioni ad ogni livello ed i rapporti fra imprenditore e consulente si andranno velocemente e irrimediabilmente a logorare fino al punto di non ritorno: ognuno per la propria strada.
D’altronde è un atteggiamento perfettamente comprensibile perché gli oneri burocratici ormai sono pervasivi ed hanno incidenze imbarazzanti sul Conto Economico aziendale oltre allo stress nel rincorrere adeguamenti normativi sempre più stringenti e spesso incomprensibili nella loro logica di attuazione, oltre ad un sistema sanzionatorio che minaccia dall’alto e pende come una oscena spada di Damocle.
Ma è un atteggiamento altrettanto pericoloso perché si perde l’opportunità di far parte di un cambiamento già in atto e da cui difficilmente si potrà tornare indietro e se si decide di chiamarsi fuori dalla sostenibilità ci si espone ad un rischio di mercato che potrebbe compromettere l’attività e la continuità aziendale. Ed ancora più seria diventa la situazione di chi si dichiara un paladino della sostenibilità per poi essere smascherato e dimostrarsi incoerente con quanto pubblicizzato o peggio ancora aver pubblicato notizie palesemente false.
E come direbbe il nonno Piero “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce.”
Come si diceva, il cammino verso gli obiettivi ESG è ormai intrapreso ed è inarrestabile; la sostenibilità è a tutti gli effetti un risarcimento danni per ciò che la mia e le precedenti generazioni hanno fatto in termini ambientali, sociali e di legalità.
Prendiamo il mio caso: sono nato nei mitici anni 60 in pieno boom economico (e già questo basta e avanza) ma il mio ingresso nel mondo del lavoro risale ai famosi anni 80, agli anni della “Milano da bere”, dove imperava un unico obiettivo, quello di fare soldi e farli ad ogni costo con le conseguenze che, oggi, sono sotto gli occhi di tutti: un cambiamento climaƟco che non è più in discussione (E), una tutela del mondo del lavoro che non riesce ad arginare la piaga delle morti bianche (S) ed una latente corruzione nella gestione degli appalti pubblici e privati (G) che ha avuto come culmine le inchieste di “mani pulite” negli anni 90. Tutte situazioni, più o meno, ancora presenti.
È arrivato il momento di cambiare visione, oggi è il momento di passare dal guadagno ad ogni costo al guadagno, se così si potesse dire, ad ogni “ricavo”. Nell’ottica ESG il profitto per gli shareholders rimane sempre e comunque la priorità (e ci mancherebbe) ma deve essere perseguito non a “tutti i costi” con sfruttamento della mano d’opera, l’inquinamento ambientale e ricorrendo a pratiche illegali, ma deve essere perseguito in modo che gli stakeholders, ossia tutti quelli che sono portatori di interessi interni ed esterni all’azienda, possano trarne un beneficio (ricavo) in termini di miglioramento della qualità della vita nel suo insieme.
Insomma, la sostenibilità prima di essere una norma di Legge è innanzitutto un concetto etico, un diverso modo di concepire l’azienda e la sua stessa organizzazione interna, un modo di porsi con la propria coscienza e con il prossimo. Una vera e propria filosofia di vita.
2. Seconda ipotesi.
E veniamo alla famosa pillola rossa, al secondo approccio, ossia a quel cambio culturale nel cui contesto è importante muoversi oggi: accettare il cambiamento!
Concentriamoci solo nel mondo delle PMI, ossia di quelle aziende che ad oggi (salvo modifiche legislative) non sono obbligate a uniformarsi alla logica della sostenibilità, alle sue norme e alla prassi consigliata. Non ci sono sanzioni per non adeguarsi e quindi lo sforzo organizzativo a cui soggiacerà l’imprenditore avrà bisogno di una motivazione molto più forte ed una convinzione incrollabile.
E’ l’aspetto più critico da gestire perché abbraccia le convinzioni, le ideologie e i valori dei differenti stakeholders dell’azienda, tutti fattori fuori dal controllo aziendale e quindi fuori dal controllo e dalla volontà dell’imprenditore stesso.
Con la logica, mutuata dal codice civile, del buon padre di famiglia (ma direi in questa sede del buon padre e della buona madre di famiglia), sarà necessario muoversi con estrema cautela, individuare e fissare le priorità, intervenire in modo graduale partendo da ciò che già si ha a disposizione in azienda, affidarsi a professionisti affidabili che sappiano condividere, al di là delle loro necessarie competenze, visione, valori e obiettivi, instaurare fin da subito con le Banche un dialogo aperto, costruttivo, trasparente, nella consapevolezza che per adeguare l’azienda alla prassi ESG saranno necessarie ulteriori risorse finanziarie. Saremo così in grado di trasformare il costo della sostenibilità in un investimento, sosterremo le aziende nella loro crescita competitiva e miglioreremo la loro resilienza nel breve, medio e lungo termine.
Non sarà un cammino semplice né breve.
E non ci sono scorciatoie.
Ci sarà senz’altro d’aiuto una recente pubblicazione di EFRAG (organismo contabile europeo) dal titolo “Voluntary ESRS for NON listed small-and medium sized enterprises”, purtroppo in inglese anche se l’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) con un comunicato stampa del 26 febbraio scorso si è impegnato alla sua traduzione in italiano.
Questo documento, in libera consultazione fino al 21 maggio p.v., ha l’obiettivo di fornirci consigli e gli strumenti necessari per iniziare il nostro percorso, ma ha altresì l’obiettivo di instaurare un dialogo aperto e costruttivo anche con le Pmi del Made in Italy al fine di partecipare attivamente alla stesura definitiva dello standard di riferimento.
Per questo, anche per questo, la massima del nonno Piero torna ad essere di estrema attualità.
Insomma, “Chi ha tempo non aspetti tempo”.
Padova, 8 marzo 2024.
Dott. Roberto VERONESE