Augusto Bianchini¹⋅², Valentino Solfrini¹

¹ Dipartimento di Ingegneria Industriale – Università di Bologna

² Turtle S.r.l. – Start Up e Spin Off dell’Università di Bologna

 

Macché business. L’ennesimo impiccio burocratico! Questo è quello che, presumo, la maggior parte degli imprenditori e manager abbia pensato la prima volta che ha sentito parlare di sostenibilità. Un po’ sicuramente per l’esplosiva e disordinata attenzione al tema che hanno rivolto giornali specializzati, blog e riviste. Un po’, sicuramente, per la sempre più marcata pressione normativa, nella maggior parte dei casi “implicita”. “Implicita” perché se non si è in via diretta “obbligati” a confrontarsi con determinati dispositivi (ultima la direttiva CSRD, EU 2022/2464) vi è la necessità di rispondere ed assicurare i propri clienti in merito a temi ambientali, sociali ed economici. In estrema sintesi, vi è questa necessità perché il mercato lo chiede e le imprese, purché lo vogliano o no, dovranno raffrontarvisi.

Ma che cos’è la sostenibilità? O meglio, che cos’è la sostenibilità per un’impresa?

Quando si parla di sostenibilità in ambito imprenditoriale o aziendale, si può fare riferimento alla sostenibilità industriale. Questa distinzione è simile a quella tra logistica e logistica industriale. Cambia il “focus”. La sostenibilità industriale si concentra sul miglioramento continuo delle attività aziendali, non solo per promuovere l’efficienza economica, ma anche per ridurre l’impatto ambientale e migliorare gli aspetti sociali. Questo nuovo paradigma richiede di andare oltre la semplice valutazione economica, aggiungendo due nuovi parametri fondamentali: quello ambientale e quello sociale.

Concentriamoci sugli aspetti ambientali. Pensiamo a un’organizzazione, un’azienda o qualsiasi attività produttiva: queste sono attraversate, semplificando, da due flussi fondamentali. Vi è un flusso di materiali e vi è un flusso energetico. La prima domanda da porsi, se si vuole praticare la sostenibilità, è quanto conosco questi due flussi? Li misuro? Ho contezza di queste grandezze?

Se si chiede ad un imprenditore quanto vale il proprio magazzino o quanto ha fatturato lo scorso anno, la risposta arriva in pochi secondi. Ma se domandiamo quanti kilogrammi di materiale ha acquistato o quanti kilowattora ha consumato lo scorso anno, la risposta richiede più tempo e qualche ricerca, magari su disordinati fogli Excel. Perché? Perché non siamo ancora abituati a ragionare con unità di misura diverse da quelle necessarie per far funzionare il “business” in modo economicamente efficiente.

Quindi, la prima cosa da fare è misurare e quantificare questi due flussi, raccogliendo una buona quantità di informazioni e documenti a corredo. Ma perché dovremmo essere consapevoli di queste informazioni? Perché dovremmo fare queste misure e raccogliere questi dati?

Se la risposta è per compilare un questionario o per adempiere ad obblighi normativi, allora sì, stiamo affrontando l’ennesimo impiccio burocratico. Dobbiamo farlo e lo facciamo. In questo modo stiamo facendo quello che in gergo si chiama “reporting”. Ma fare reporting significa fare sostenibilità per un imprenditore?

Per noi, la risposta è no, sostanzialmente per due motivi. Il primo è che fare “reporting” rappresenta solo un costo passivo per l’azienda, non un investimento. Il secondo motivo, ma molto importante, è che fare impresa significa anche creare ricchezza, non solo per sé ma per il territorio. E questo non può essere fatto senza considerare gli aspetti che oggi vengono chiamati di sostenibilità.

Se anche per il lettore la risposta è convintamente no, dobbiamo allora interrogarci su come trasformare questa sfida in opportunità ed investimenti. Comprendere i propri impatti, trasformarli in leve competitive e farne un successo economico, ambientale e sociale per l’organizzazione. Esistono numerosi esempi pratici di come la sostenibilità possa tradursi in investimento. Tra questi, l’efficientamento energetico può ridurre significativamente i costi operativi e migliorare l’efficienza complessiva dell’azienda. L’ottimizzazione nell’uso dei materiali e la riduzione degli scarti non solo riducono i costi di smaltimento, ma possono anche creare nuovi flussi di entrate attraverso la valorizzazione dei residui.

La digitalizzazione dei processi è un altro esempio chiave. Essa aumenta la produttività e la trasparenza, portando a decisioni aziendali più informate e tempestive. L’adozione di tecnologie avanzate, come l’Internet delle cose e l’intelligenza artificiale, può trasformare la gestione delle risorse, permettendo un monitoraggio più preciso e un’ottimizzazione continua.

La digitalizzazione rappresenta infatti uno dei più significativi fattori abilitanti alla sostenibilità, all’efficienza ed alla transizione energetica. Dal nostro punto di vista i progetti di sostenibilità devono partire dai dati e devono essere guidati da essi. In gergo si parla di approccio “data driven”.

Vediamo ora un esempio di progetto in cui, proprio utilizzando questo approccio, le aziende possono introdurre progetti di sostenibilità industriale.

Piccola media impresa, industria di processo, settore petrolchimico, 80 dipendenti. La necessità di fare sostenibilità nasce da una “spinta” normativa. L’azienda ha bisogno di dare al mercato informazioni relative alla sostenibilità delle proprie operazioni e di dotarsi di certificazioni di prodotto per aggredire nuove opportunità di mercato e consolidare quelle esistenti. Allo stato attuale non vi è alcuna figura che segue gli aspetti di energia e rifiuti, se non svolgere le pratiche amministrative. L’azienda gode di un ottimo stato di “salute finanziaria”.

Il progetto svolto inizia con la mappatura e digitalizzazione dei dati ambientali dello stabilimento di produzione. Vengono analizzati i dati relativi ad energia, rifiuti prodotti, trasporti ed acqua degli ultimi quattro anni. Lo stabilimento è energivoro e vi è un importante consumo di gas naturale (200 kSmc anno) ed energia elettrica (1500 MWh anno). Le emissioni di ambito 1 ed ambito 2 (Scope 1, Scope 2, come definiti dal GHG Protocol) sono metà e metà, per un totale di 1000 tonnellate anno di CO2eq. Acqua e trasporti interni non sono rilevanti. Il residuo di maggiore importanza è rappresentato dagli scarti di lavorazione, non riciclabili, non riutilizzabili con smaltimento in discarica. Altri residui, trascurabili rispetto al precedente, sono i materiali di imballaggio dei prodotti in ingresso. Dal nostro punto di vista i progetti di sostenibilità ambientale e transizione devono partire dai processi interni, da ciò che l’azienda ha sotto diretto controllo e su cui può agire direttamente. Solo dopo questa prima fase si può allargare la visione alla filiera. Partiamo quindi con le attività relative alla “fetta più grossa” interna allo stabilimento: l’energia. Come prima attività si è deciso di procedere con l’installazione di misuratori sui principali reparti e macchinari. I misuratori sono stati collegati al sistema ERP ed all’avanzamento degli ordini di lavoro per creare indicatori di consumo elettrico significativo. Stesso principio è stato applicato ai consumi di gas naturale. Grazie ai numeri ed indicatori raccolti è stato possibile proporre 3 attività di riduzione dei consumi (e quindi delle emissioni di GHG) che permettessero all’azienda di risparmiare anche sul costo di acquisto della materia prima. Le attività sono state la sostituzione dei motori elettrici in selezionati reparti, il recupero di calore dalle caldaie per produrre acqua calda per riscaldamento/ACS (acqua calda sanitaria), e la modifica della logica di funzionamento dell’impianto di aspirazione. Oltre all’attività di miglioramento il monitoraggio di dati mai guardati prima ha permesso di risparmiare kWh con una caccia agli sprechi. Dove non si monitora gli sprechi ci sono sempre. Ora la domanda che può sorgere è “ma la parte normativa?”, vera esigenza all’inizio del progetto? Grazie alla mappatura e digitalizzazione dei dati è stato possibile produrre i dati necessari allo sviluppo delle certificazioni desiderate con maggiore facilità. Ora l’azienda ha certificazioni di prodotto e si prepara all’emissione del bilancio di sostenibilità anche con una maggiore consapevolezza del tema.

Ma non finisce qui, a soli progetti legati a tematiche energetiche. Guardare agli aspetti prima mai considerati, come l’impatto ambientale delle proprie operazioni, può portare innovazione e creare nuove opportunità di mercato. Le aziende che integrano la sostenibilità nella loro strategia di business non solo rispondono alle richieste del mercato e delle normative, ma “spingono” anche l’innovazione. Vediamo un altro esempio in cui tramite l’approccio “data driven” è stato effettuato un progetto di sostenibilità in cui si hanno avuto importanti impatti economici e sociali.

Piccola-media impresa, 40 dipendenti, lavorazioni meccaniche con differenti tipologie di centri di lavoro conto terzi. L’azienda ha iniziato un progetto di “revamping” del sistema di avanzamento interno delle commesse con l’installazione di un MES (Manufacturing Execution System) ed, in parallelo, un progetto per il miglioramento della “costificazione” delle commesse includendo, tra le differenti voci, anche i consumi macchina. L’installazione del MES ha permesso di avere informazioni dettagliate di ogni commessa ed ordine di lavoro, sapendo con precisione tempi e risorse impiegate. Un set di indicatori, quali l’OEE, calcolati in modo automatico per ogni centro di lavoro ha permesso di incrementare l’efficienza complessiva del lavoro in modo significativo e dare più informazioni di controllo all’imprenditore. Grazie a ciò, la “costificazione” delle commesse è divenuta puntuale, affidabile e precisa. Da qui un’idea. I dati sono disponibili, ora “gratis”, perché non valorizzarli anche dal punto della sostenibilità ambientale? Il concetto è stato sviluppato e industrializzato con un progetto specifico. L’azienda è in grado ora di fornire la carbon footprint per ogni commessa evasa, comunicata tramite la stampa su documento di trasporto al cliente. Il progetto è considerabile sicuramente innovativo per una piccola PMI in Emilia-Romagna ed ha avuto due grandi vantaggi aggiuntivi: grazie alla comunicazione della CF (Carbon Footprint) su DDT (Documento Di Trasporto) il cliente finale ha percepito il valore e la qualità del lavoro svolto permettendo all’azienda di commerciare i propri prodotti con una marginalità maggiore. Dall’altro lato, si ha avuto un impatto anche dal punto di vista della sostenibilità sociale, l’azienda è diventata più attrattiva per giovani che percepiscono il lavoro come più qualificato. È ora in corso un progetto di ricerca molto innovativo per studiare l’impatto della digitalizzazione sulla percezione di impresa. Inoltre, anche in questo caso, i dati hanno permesso di effettuare una caccia agli sprechi in particolare sui compressori. In questo caso è stato modificato l’impianto di distribuzione per minimizzare gli sprechi, soprattutto di notte e a fabbrica ferma.

In questi due esempi, abbiamo illustrato come l’adozione di pratiche di sostenibilità di processo abbia permesso a due PMI dell’Emilia-Romagna di realizzare investimenti efficaci e innovativi, migliorando sia le proprie attività che il valore generato dall’impresa. Ma, ancora una volta, non finisce qui anzi. La sfida della sostenibilità, lavorato sui propri processi, deve poi estendersi alla filiera coinvolgendo supply-chain, rete di distribuzione, clienti e territorio. Il tema diventa più profondo e complesso; per trattarlo occorre un articolo dedicato!

Ma quindi la sostenibilità è davvero un business? Se pensiamo agli slogan pubblicitari, alle onerose spese per le certificazioni o alle complesse rendicontazioni imposte dalle normative, la risposta sembrerebbe essere no. Tuttavia, questa visione è limitata e non ne riflette il vero potenziale. La sostenibilità non deve essere vista solo come un costo aggiuntivo o una serie di adempimenti burocratici, ma come un’opportunità per orientare gli investimenti verso l’innovazione e nuovi paradigmi di cultura d’impresa.

Se non riusciremo a considerarla in questi termini, la sostenibilità non penetrerà mai profondamente tra gli imprenditori e nelle aziende. Per promuoverla e farla adottare attivamente, deve essere vista come una leva competitiva che genera valore aggiunto. Può aprire nuove linee di business, migliorare l’efficienza dei processi produttivi e permettere alle aziende di rispondere in modo proattivo alle crescenti aspettative dei consumatori e alle normative. Solo adottando questa prospettiva, la sostenibilità potrà essere ampiamente integrata nelle strategie aziendali, contribuendo a un futuro più resiliente e prospero per tutti. In questo senso, sì, la sostenibilità è un business.