A cura di Ruggero Romano

Cosa è cambiato nella gestione delle risorse umane

Nella mia esperienza di ingegnere, manager e consulente ho potuto vivere le aziende sia dal “di dentro” che da fuori, avendo così modo di confrontare i diversi approcci alla “valorizzazione del Valore” delle funzioni aziendali, dei prodotti, dei servizi …

L’espressione “Valorizzazione del Valore “ che ho creato mi rendo conto che sia cacofonica e parecchio bruttina, ma serve a estrapolare un concetto che sta alla base del fare impresa: le aziende si basano su numeri economici, bilanci, costi e investimenti e, da sempre, l’unità di misura base è quella della moneta.

Un’azienda di successo si misura dal fatturato, dalla marginalità, dagli investimenti…

Questo porta ad una visione dell’azienda estremamente materiale, nella quale il risultato economico viene confuso con il Valore.

Non è così.

La visione materialista di un’impresa è un modello che sta invecchiando dopo la seconda rivoluzione industriale e perde di abbrivio e di consistenza ogni giorno.

Il metodo di valutazione dello stato di salute di un’impresa resterà sempre il conto economico perché, purtroppo, occorre un elemento oggettivo e quantificabile secondo un’unità di misura universalmente riconosciuta, per comprendere la collocazione sul mercato, la redditività promessa e conseguita a vantaggio degli investitori.

Quello che però sta progressivamente logorandosi è l’idea che quello economico sia l’unico e assoluto valore (con la minuscola) prodotto dall’azienda.

Il lavoro è fatto da persone, che lavorano non per produrre denaro come obiettivo fine a sé stesso, ma per avere nel denaro uno strumento operativo, un mezzo che consenta di realizzare progetti di benessere, di gratificazione, di felicità.

Le stesse istituzioni oggi sono in forte crisi di credibilità perché oggi sono gestite secondo modelli di tipo economico: le strutture sanitarie e ospedaliere che dovrebbero produrre cure e guarire le persone, sono affette da deficienze operative determinate dalle analisi di bilancio che evidenziano la mancanza di denaro per l’acquisto di macchinari diagnostici o pagare personale in quantità maggiore e più qualificato.

Le istituzioni che governano il territorio spesso sono impreparate per fronteggiare le criticità determinate da eventi climatici catastrofici… ma anche solo per riparare le buche nelle strade.

Le aziende, i servizi, le impese sono afflitte dalle conseguenze sui costi determinati da crisi economica, criticità sociali a livello globale, politiche inadeguate.

Il Valore del lavoro

Non sono un sognatore utopista che pensa che il problema sia l’idea di valore data al denaro, che comunque resta un fattore indispensabile e di riferimento, ma sono convinto che la focalizzazione ossessiva sui risultati SOLO economici stia portando, paradossalmente, ad una distorsione del concetto di creazione del Valore.

Il Valore di una cosa è ciò che è percepito come elemento di soddisfazione dei bisogni umani, ciò che dà a uomini e donne la percezione della felicità, del senso di realizzazione.

È comprensibile che ci siano “enti” che lavorano per veder aumentare soltanto le cifre di bilancio in attivo, ma quello non è lo scopo di un Azienda.

Ogni imprenditore, piccolo o grande che sia, quando ha creato la sua impresa lo ha fatto per garantirsi un futuro, fare una famiglia, costruire una casa, acquisire una reputazione sociale, garantire possibilità di studi ed opportunità ai propri figli, passare del buon tempo facendo cose che rilassano o divertono… e sono gli stessi obiettivi che persegue ogni persona, inclusi i dipendenti egli operai dello stesso imprenditore.

Sarebbe una condizione WIN -WIN su ci basare il patto sociale fra impresa e lavoratori… eppure non sembra funzionare.

Nel mio lavoro di consulenza, svolto soprattutto con PMI, tutte le aziende che ho occasione di contattare o con cui collaborano lamentano due criticità principali:

  1. Costi dell’energia troppo alti
  2. Mancanza di personale e difficoltà a reperirne

Perché?

Non mi soffermo troppo sui costi energetici le cui cause sono date sia dalle speculazioni legate alle crisi socio -economico -politiche globali quali il conflitto russo -ucraino o le politiche green e le aggressive strategie economiche basate su dazi intercontinentali.

Su tali elementi l’imprenditore può fare oggettivamente molto poco, a livello di cause prime, ma può sicuramente intervenire con al differenziazione die fornitori, la realizzazione di impianti di generazione di energia, con politiche interne di ottimizzazione e ammodernamento d macchinari e impianti e con sistemi di finanziamento alternativi ai tradizionali ricorsi agli istituti di credito. Ma sono argomenti complessi e necessitano di trattazioni troppo estese per poter essere svolte in questa sede

Provo a ragionare sul secondo problema.

Esiste una sorta di periodo spartiacque nella storia economico industriale moderna: gli anni del Covid.

L’impatto del lockdown, la paura del contagio pandemico, le difficoltà di movimentazione ed operatività hanno scatenato un effetto collaterale a livello di comportamenti sociali che prima non esisteva.

A concretizzare in modo evidente questi elementi sono state prima le giovani generazioni.

Con il covid si è scoperto che, improvvisamente, una causa esterna, maligna e incontrollabile, poteva stravolgere le nostre abitudini e addirittura mettere a rischio i nostri sogni sul futuro.

Molte cose di cui si non si apprezzava il Valore sono diventate essenziali.

Le statistiche sulla gestione del personale nel periodo covi e post Covid, fino ad oggi, hanno evidenziato un aumento delle dimissioni volontarie dal posto di lavoro, fenomeno esploso negli USA, ma poi esteso anche in Europa.

Il 30 ottobre del 2021 il Corriere della Sera pubblicava il dato che il 2% sul totale degli occupati aveva volontariamente abbandonato il posto di lavoro

Il 22 gennaio 2023 Il Sole 24 Ore riportava il dato di 1,6 milioni id lavoratori che avevano datole dimissioni volontarie.

Cosa sta succedendo?

Succede che il lavoro non costituisce più, con il suo impegno e le ore richieste, un sufficiente elemento motivazionale che porta a trascurare la propria vita privata, il proprio tempo libero, la propria “piccola felicità” e si trasforma n una gabbia, una prigione del bisogno che logora e affligge.

L’aspetto psicologico è fortissimo : non essendo più possibile considerare il lavoro uno strumento di realizzazione dei propri sogni ed aspirazioni, dato il divario economico fra retribuzioni e le reali possibilità di risparmio per conseguire gli obiettivi minimali di casa e serenità sul futura, i lavoratori hanno cominciato a darsi obiettivi di felicità più facilmente conseguibili nell’immediato …perché l’incertezza di crisi, guerre e pandemia ha posto un’ombra grigia sui progetti a lungo termine.

Il paradosso è che, pur essendoci una necessità di lavoratori innalzata, le aziende non trovano persone da assumere.

È evidente che le offerte di lavoro hanno perso “sex appeal”, soprattutto sule categorie in età più bassa.

Le aziende continuano a offrire “cose” che non hanno un Valore.

Le aziende offrono posizioni, ma non stabilità.

Le aziende offrono denaro, ma si sbilanciano poco e sono sempre molto attente ai livelli di mercato (che però non sono livelli compatibili con i costi della vita aumentati

).Le aziende non riconoscono la professionalità. L’esperienza e la formazione: certo si ricercano profili altamente skillati e qualificati, ma poi il riconoscimento economico, di carriera, di benefit è sempre molto ridotto e inadeguato

Le aziende richiedono partecipazione, disponibilità e passione… ma non sono altrettanto disponibili e flessibili su orari, permessi, smartworking, che invece sono fra gli elementi maggiormente ricercati dai lavoratori oggi.

Le aziende, in pratica, pur essendo estremamente attente ai calcoli economici sui costi del personale, non percepiscono in maniera oggettiva i costi che il personale deve sostenere autonomamente per vivere, raggiungere il posto di lavoro, acquisire servizi necessari come telefonia e internet che sono assolutamente imprescindibili per qualsiasi attività sociale, ma anche per usufruire di servi sanitari o interagire con pubblica amministrazione e servizi.

Negli anni 70 una utilitaria o un’automobile media poteva essere acquistata con l’impegno di 3-5 mensilità di stipendio da un operaio o un impiegato dipendente.

Negli anni 80 i miei genitori hanno acquistato la casa di proprietà per circa 90 milioni di vecchie lire e, all’epoca, mio padre percepiva circa un milione di lire come stipendio.

Circa 15 anni fa ho acceso il mutuo per acquistare la casa in cui abito per un importo che era pari a quasi a oltre 140 volte il mio stipendio da dipendente in azienda.

Oggi una delle auto più economiche costa circa 14000 euro che sono quasi 9-10 volte il netto di uno stipendio di un operaio al primo impiego. Quello che si sta evidenziando è che l’offerta di lavoro sta diventando sempre meno attraente perché inadeguata a sostenere una vita dignitosa.